Considero i ritiri una delle migliori occasioni per dare la possibilità a Dio di presentarsi. Sono piuttosto morbido nell’affrontare la vita, fin troppo, dicono alcuni. Ma sui ritiri sono di una rigidezza inquietante: proprio durante un ritiro mi sono convertito, il secolo scorso, e oggi, over quarantenne, so che da quell’esperienza è nato tutto. Tutto il mio cammino verso Dio, tutta la luce che ancora mi rapisce e mi affascina, tutto il desiderio colmo e mai sazio della sequela. Perciò, per non sbagliare, e finché non mi convinco del contrario, partecipo solo ai ritiri strutturati come una scuola coranica. Talebana. Sei giorni di silenzio assoluto, pasti inclusi, recita comunitaria della preghiera delle ore, quattro meditazioni bibliche al giorno, un’ora di adorazione notturna e venti minuti di dialogo con un prete, meglio se per una confessione. Tutto facoltativo, ovvio, eccetto il silenzio. Lo, so, non è cibo per tutti, ma qualche folgorato come me c’è ancora, in giro per l’Italia. E alla fine di un ritiro strong che conosco Fausto. È di Milano, in pensione da diversi anni, si presenta subito come una persona gentile e riservata, quasi timida. È alla sua prima esperienza di ritiro, malgrado arrivi ai settant’anni. Cordiale, davvero cordiale, e sincero nella sua ricerca di Dio. In pochi minuti è difficile parlare di sé, ma ha il dono (raro) della sintesi. Mi parla di una vita semplice, di un lavoro di responsabilità che l’ha fatto diventare dirigente dell’azienda che l’aveva assunto nel dopoguerra come operaio, di due figli ormai grandi e sposati e lontani da Milano, di un amore intenso, profondo, entusiasta, reciproco con sua moglie. Da due anni Fausto è rimasto vedovo. «Ti sembrerà ingenuo – mi dice – ma ho sempre pensato che sarei partito prima io. E invece non è andata così: un tumore me l’ha portata via dopo un anno di tribolazione. Proprio quando anche il figlio più piccolo si era sistemato. E ora sono solo in casa, spento, disperato, senza voglia di vivere. Non me la sento di uscire, non ho amici sinceri, non ho neppure voglia di fare qualcosa. sì, da giovane ero pieno di interessi, pescavo, mi appassionavo di calcio. Ma adesso non ho proprio più voglia di vivere, credimi». Sorrido. Vorrei abbracciarlo, condividere un poco il suo dolore. Provo a dire qualcosa: «Sai Fausto, mi spiace molto per la perdita di tua moglie. Hai misurato sulla tua pelle quanto sia breve la nostra vita, come siamo invitati a guardare altrove, ad allargare lo sguardo, ad andare oltre. Ma mi permetto di sottolineare il positivo: hai avuto un grande amore, hai avuto la fortuna di poter condividere tutto con una persona, vi siete amati sinceramente fino in fondo. Loda il Signore con tutte le tue forze, in attesa di lodarlo insieme a tua moglie, nella pienezza dell’eternità». Ora è lui a sorridere. Annuisce, ripensa alla fortuna immensa che ha avuto di conoscere e amare sua moglie. No, non è affatto scontato. Conosco coppie che sono state insieme con una stanchezza infinita, che si sono sopportate con fatica per tutta la vita e, quando arriva l’età della vecchiaia, si sono irrancidite. Riprende: «Vedi, io prego tutti i giorni affinché il Signore mi prenda, che mi tolga da questa vita, non ha più senso che io resti qui, secondo te faccio un peccato?». «No, è una sciocchezza, Fausto. Se sei qui, se sei ancora qui, è perché devi ancora assolvere ad una missione, devi ancora fare qualcosa. Non sta a te stabilire fino a quando, ma certamente non te ne andrai finché non avrai capito cosa devi fare e l’avrai fatto. Non siamo noi a stabilire se abbiamo lavorato a sufficienza nella vigna del Signore. Non perderti questo pezzo di vita che ti è donato». Ci salutiamo cordialmente, anche con gli altri, se non ci si rivede, appuntamento in Paradiso. Ricevo ieri una mail da Fausto, per mano di suo figlio Marco: «Carissimo, approfitto di Marco per scriverti questa lettera. Non sono abituato a questi strumenti moderni, ma mi ci devo adeguare. A distanza di tempo dal nostro incontro volevo ringraziarti. Ho pensato molto a ciò che hai detto e, dopo qualche mese, ho avuto un’illuminazione: so perché il Signore non mi ha ancora preso per stare con la mia Gianna. Devo fare il nonno. È nata la seconda nipotina e mio figlio si è trasferito a Milano. Sto facendo con i nipoti quello che non ho fatto con i figli. È molto faticoso ma sono contento: mi fanno del bene e io faccio del bene a loro. Grazie ancora, Fausto». Sorrido. In fondo alla mail una postilla: «Gentile signore, sono il figlio di Fausto. Non so cosa sia successo al ritiro, ma devo ringraziarla perché sto scoprendo un aspetto di papà che non sapevo esistesse. È molto tenero con le mie bambine e ci sta dando una mano enorme, pur con la fatica dei suoi settant’anni. Spero di incontrarla». Dio ha proprio un bel senso dell’umorismo.
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