Contatta Paolo Curtaz

Per informazioni, organizzazione conferenze e presentazioni

Scrivi a Paolo

(…) Prostratosi dinanzi al re con la faccia a terra, disse: “Benedetto sia il Signore tuo Dio che ha messo in tuo potere gli uomini che avevano alzato le mani contro il re mio signore! ”. Il re disse: “Il giovane Assalonne sta bene?”. Achimaàz rispose: “Quando Ioab mandava il servo del re e me tuo servo, io vidi un gran tumulto, ma non so di che cosa si trattasse”. Il re gli disse: “Mettiti là, da parte”. Quegli si mise da parte e aspettò. Ed ecco arrivare l’Etiope che disse: “Buone notizie per il re mio signore! Il Signore ti ha reso oggi giustizia, liberandoti dalle mani di quanti erano insorti contro di te”. Il re disse all’Etiope: “Il giovane Assalonne sta bene? ”. L’Etiope rispose: “Diventino come quel giovane i nemici del re mio signore e quanti insorgono contro di te per farti il male! ”. Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva in lacrime: “Figlio mio! Assalonne figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!”. Fu riferito a Ioab: “Ecco il re piange e fa lutto per Assalonne”. La vittoria in quel giorno si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: “Il re è molto afflitto a causa del figlio”. Il popolo in quel giorno rientrò in città furtivamente, come avrebbe fatto gente vergognosa per essere fuggita in battaglia. Il re si era coperta la faccia e gridava a gran voce: “Figlio mio Assalonne, Assalonne figlio mio, figlio mio! ”. (2Sam 18,28-19,5)

Abbiamo lasciato Davide, lo scorso mese, che lascia Gerusalemme pur di non combattere contro suo figlio Assalonne che, fagocitato da alcuni della famiglia dell’ex-re Saul, ha compiuto un colpo di Stato. Rifugiatosi in una città sulle rive del Giordano, Davide aspetta con ansia notizie dal campo di battaglia. Assalonne è morto durante gli scontri e nessuno ha il coraggio di portare la notizia al re. Con sottile psicologia il testo descrive l’ansia del padre che scruta l’orizzonte, tentando di interpretare la camminata del messo che sta giungendo. Davide scruta l’orizzonte come farà un altro Padre con esiti meno drammatici (Lc 15). Achimaaz, inviato dal generale Ioab, non ha il coraggio di dire la verità: sarà uno straniero, un Etiope, che non conosce la tempra di Davide, a dargli la “buona” notizia. La struggente reazione di Davide ci lascia attoniti e silenziosi: invece di gioire per il potere riconquistato, Davide è straziato dal dolore e si rifugia in camera per piangere a dirotto, inconsolabile. La splendida annotazione redazionale che ci racconta di come l’esercito rientrò in città in silenzio, come se avesse perso, ci trasmette la forza che questa reazione suscita nel popolo. Ioab dovrà convincere il re a riprendere in mano il suo ruolo, per amore del popolo. Davide, in questa pagina, non è più il grande condottiero, lo spavaldo campione della fede, l’audace che rubò il trono a Saul, colui che ha fatto di un popolo di nomadi la più grande potenza del Medio Oriente dell’epoca. Ora egli è solo un padre che sa che il figlio è stato ucciso. Come per Mosè, la fine di Davide è all’insegna di una purificazione che passa attraverso i fatti della vita e che ci lascia stupiti e ammirati. Davide non fa come Erode che fa sterminare i suoi figli accusati di complotto, o come Saddam che fa uccidere i mariti delle figlie dopo essere tornati penitenti a Bagdad. Il potere, spesso, acceca chi lo vive e avvelena il giudizio. Quante liti nascono ancora oggi in contesti famigliari, quante incomprensioni e tragedie per questioni di interesse economico! Davide, con questo suo gesto, si congeda dalla nostra riflessione con alcune forti indicazioni: la vita è una progressiva spogliazione, a volte dolorosa che passa attraverso la riscoperta di una piena umanità. Davide, anziano, vede che tutto ciò che egli ha conquistato non vale la forza degli affetti. Inoltre Davide ci insegna  che nessun potere, nessuna gloria, nessun obiettivo possono riempire il bene di una relazione. In un cristianesimo che, talvolta, dimentica la propria piena umanità, il grande Davide ci richiama alla dignità immensa di essere anzitutto uomini. E uomini che sanno anche piangere.

Davide è stato prima di ogni altra cosa un padre che ha sofferto della morte del figlio. Aiutaci, Dio di Davide, a non trascurare mai i rapporti umani fra di noi, a non lasciarci intossicare dal potere.

7 Comments

  • Jenny, 11 Febbraio 2010 @ 21:44 Reply

    Ci vuole tanta fede e coraggio per dire a un padre che il figlio è morto,in battaglia o x altro motivo.Ne so qual’cosa quando morivano i miei fratelli, ci avvisavano i carabinieri. Mio papà capiva subito come arrivava un milite. Saluti a tutti.

  • ww, 11 Febbraio 2010 @ 23:28 Reply

    “Il potere, spesso, acceca chi lo vive e avvelena il giudizio.”

    Di tanto in tanto penso al mio ambiente lavorativo – uno come tanti – e a quanto sia vera quest’affermazione in quel contesto.

    Ancora una volta affido al Signore la mia carriera e Lo prego di non darmi abbastanza potere, se dovessi mai risultarne accecata e/o avvelenata.

  • Lucia1, 12 Febbraio 2010 @ 09:04 Reply

    Quando ho letto questo testo per la prima volta, un anno fa, l’ho trovato semplicemente “toccante”.
    Ieri, rileggendolo, il primo pensiero è stato “Toh! il figliol prodigo dell’A.T.”
    Stamane ho pensato: Davide rappresenta lo stesso padre di Lc.15 quando aspetta il figlio che non si decide a tornare.
    Ho ripensato a ciò che abbiamo scritto sull’ultimo post riguardo “coloro che non si convertono” e al loro destino ultimo ed ora l’immagine di questo padre così disperato mi pare molto eloquente.
    Già nell’A.T. Dio ci diceva quanto ci ama, quanto soffre per la nostra ostilità, quanto è disposto a perdonarci…
    Se noi fossimo capaci di trasmettere agli altri questo volto di Dio forse ci sarebbero più “figli” disposti a riabbracciare il Padre, chissà?
    Ieri sera all’incontro di catechesi degli adulti in cui si commentavano le beatitudini di Luca, tutti eravamo preoccupati e spaventati da quei quattro “Guai a voi…”: purtroppo noi cristiani abbiamo ancora tanta paura di Dio, non riusciamo a scrollarci di dosso questo giudice implacabile che con il bilancino soppesa i nostri meriti e le nostre colpe e forse applichiamo agli altri questo stesso metro, facendoci giudici e non padri accoglienti.
    Scusate se il mio discorso forse non sembra logico, ma esprimere un’emozione non è sempre facile (pregherei Paolo di correggermi se ho scritto un’eresia).
    Buona giornata a tutti.

  • spina, 12 Febbraio 2010 @ 10:45 Reply

    Carissima Lucia 1,meno male che noi cristiani abbiamo paura dei “Guai a voi ….” di Gesù…..
    Forse perchè lo interpretiamo solo come “Guai a voi …”e mai come “guai a me …..”
    Abbiamo tanto da imparare da Davide “padre” , che davvero tanto assomiglia al padre della parabola del vangelo :il papà che aspetta e spera sempre che quel figlio tanto amato capisca…nulla di complicato…capisca solo che è atteso e che è infinitamente amato.Come dice Paolo :lui non un altro !
    La stessa possibilità di riscatto , la stessa capacità di vedere nell’altro comunque un fattore di cambiamento e di novità positiva,dovremmo averla anche noi…per i fratelli, buoni o cattivi, cristiani o no….
    Questa apertura del cuore del “padre” che già dell’antico testamento ci viene incontro….
    non come buonismo e passiva sopportazione delle vicissitudini umane, ma come continuo tentativo di costruire un rapporto umano vero,
    sincero,che fa crescere,che è fonte di vita ed incentivo al cambiamento anche per chi solo lo scorge ed intuisce da lontano….
    Se questo è il messaggio del Dio che nella storia si fa vicino all’uomo, allora capiamo bene come nei “guai”, ed anche belli grossi,
    ci siamo già…e non abbiamo da temere un demonio che ci insegua per l’eternità con un forcone,perchè già ora patiamo le conseguenze di tanti “non rapporti”,di tanti incontri abortiti,di tante “ricchezze” ignorate e “snobbate” perchè poste dove noi non vogliamo nemmeno provare a scorgerle.
    Cosi continuiamo a non capire e ostinati ci sentiamo sempre più soli ed incompresi….e paradossalmente dalla profondità dei secoli un Dio Padre continua a proporre l’alternativa al nostro essere distruttivo….continua ad aspettare …con infinita pazienza ed amore.
    Baci a tutti ! Spina

  • Janus, 17 Febbraio 2010 @ 14:14 Reply

    Caro Paolo,
    questo brano mi fa tornare alla mente un altro episodio, forse più famoso … forse, a mio avviso, più intenso, più lirico, di più grande spessore (ma questo solo perchè sono innamorato di Omero).

    Mi riferisco al brano dell’Iliade, in cui Priamo (Re di Troia)… si prostra fino ai piedi di Achille (un soldato di ventura … alla fine) per supplicare la restituzione del corpo del figlio Ettore, l’eroe buono e giusto, nobile ed esempio di virtù, caduto per mano dello stesso Achille.

    Ecco il nostro Davide mi pare che abbia compiuto la sua parabola : da Achille, passando per Ettore e ritrovando la propria piena ed autentica umanità, nello scoprirsi Priamo.

    Ti cito, che meglio non saprei dire: “la vita è una progressiva spogliazione, a volte dolorosa che passa attraverso la riscoperta di una piena umanità”.

    A presto,
    salùt

  • costanza, 20 Febbraio 2010 @ 10:58 Reply

    Questo brano mi ricorda quanto poco noi genitori conosciamo i nostri figli, così come Davide poco conosceva Assalonne, e quanti notti insonni si passino nel tentare di decifrare i flebili segnali che loro ci mandano; che i figli si seguono, si amano, si difendono anche quando si rivoltano, anche quando insultano, perché non c’è altri che un genitore che può difendere il proprio figlio; salvo poi lasciarli andare, frecce scoccate da un arco il cui fine è il riposo.

  • andrew, 5 Marzo 2010 @ 16:38 Reply

    cara lucia1,
    a proposito di quel “guai a voi…”, mi ha molto consolato ciò che ascoltai ad una lectio tempo fa. Il padre biblista ci disse che, in greco, il termine utilizzato non è “guai” ma “aimè”!
    E credo, come acutamente fu osservato, che questo apparente minimo cambiamento di significato, nasconda una vera e propria rivoluzione, tale per cui non dobbiamo più vedere in questo ammonimento come la condanna emessa da giudice crudele e distaccato.
    Aimè … significa che Gesù soffre dentro di sè il male dell’altro, è come se un pezzo della sua carne si squrtasse in due quando i suoi figli sono in pericolo e fanno il male. E in effetti, anche nella Parabola del Padre di Luca 15, dopo che il figlio esprime l’intenzione di partire, viene detto a proposito del padre “Egli, poi, divise la vita tra loro”. E anche qui normalmente viene tradotto “divise le sostanze” ma la parola greca è bìos, cioè vita. Come a dire: il male che facciamo divide, spezza in due la vita del Signore. questo male, però, Gesù deciderà di portarlo sulle sue spalle come un Agnello.accogliere che ho bisogno del fatto che il Padre divida la vita per me, cioè muoia a causa mia, è la Buona Notizia!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ti potrebbero interessare