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Salgo la scaletta del volo che da Bari mi riporta al Nord.
Sorrido all’hostess (che lavoro infame!) e le chiedo. “Di che umore è oggi il pilota?”.
Ovviamente, pur essendo british non ha capito la mia battuta di umorismo noir.
La faccio perché mia moglie mi ha appena scaricato la sua ansia al telefono.
Dunque la ragione della catastrofe aerea sule Alpi francesi è il suicidio del giovane copilota che ha pensato bene di trascinare verso il baratro 149 persone ignare e innocenti.

Mentre volto penso a quegli interminabili otto minuti in cui il pilota ha tentato disperatamente di forzare la porta blindata che doveva servire a proteggere i piloti dai dirottamenti dei terroristi dopo l’11 settembre.
Ma qui ad essere dirottato verso un abisso di tenebre è stato il cuore di un ragazzo apparentemente normale.

Nelle prossime settimane, lo so bene, ci saranno dibattiti infiniti sulla tragedia che tutti ci ha scosso. Si cercheranno di individuare responsabilità (giustamente) su chi avrebbe dovuto accorgersi dello stato disarmonico della mente di quel pilota. Non uno squilibrato, almeno così non risulta, non una persona con un’evidente e acclarata patologia psichiatrica, ma uno come noi, con momenti di malumore e di depressione, con un percorso di disagio psicologico tenuto sotto controllo ma che lui, probabilmente per paura di perdere il brevetto di volo, teneva segreto ai suoi superiori.
Lascio ad altri con maggiori competenze di me formulare un quadro completo della situazione.
Ricordo il dialogo con una professionista che aveva partecipato ad un mio viaggio. “Perché tanta sofferenza psicologica?”, le avevo chiesto.
“La gente non sa più accettare il limite”, mi aveva risposto.

Viviamo sull’orlo di un abisso.
Un vortice di tenebra rischia sempre di risucchiarci.
Una tenebra di follia e di violenza. Di distruzione e di odio verso sé e verso il mondo intero.
Una tenebra, come stiamo per celebrare in questo giorni, che ha tentato di ingoiare Dio stesso.
Essere consapevoli che siamo esseri finiti e fragili, che portiamo in noi una ferita che ci spinge verso la distruzione e la violenza è un buon primo passo per vegliare su noi stessi e cercare di andare al di là delle apparenze.
Certo: se ci sono segni di patologie psicologiche vanno curate a dovere e con competenza.
Ma per tutti, anzitutto, c’è il bisogno di trovare un posto nel grande disegno della vita.

E qui la fede ha molto da dirci.

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