Ovvio che fa caldo, è una non-notizia.
Siamo in estate, siamo affacciati sul Mediterraneo. Poi, certo, Caronte, o chi per esso, ci regala simpaticamente aria dall’Africa e, ormai da giorni, il termometro segna costantemente 35 gradi.
Anche ad Aosta, per dire. Nei giorni scorsi, in un supermercato, ho quasi litigato con un altro cliente per comperare l’ultimo condizionatore d’aria per mia suocera ottantenne.
L’afa toglie il respiro e la voglia di lavorare.
Figuratevi per uno scarso come me, che suda sopra i 23 gradi.
Un impiegato di concetto.
Sono la barzelletta dell’agriturismo in cui mi trovo e li capisco. La gente paga caro per venire a prendere il fresco sulle mie montagne. Io pago per venire a cuocermi al mare. Contraddizioni metereologiche.
Si sopravvive, si scuote la testa, si parla del luglio più caldo dell’ultimo secolo e, perché no, anche dell’ultimo millennio (chi mai ci può contraddire?), si dibatte per qualche sera sulla bufala dei condizionatori (governo ladro).
Poi, grazie al cielo, si torna alla realtà.
A quelli che, presto al mattino e poi fino al tardo pomeriggio, sono sui campi a raccogliere le patate o il basilico o i cereali. Donne dell’est, africani, ma anche i proprietari sui trattori, grondanti sudore. Li osservo mentre vado in spiaggia a bordo della mia macchina condizionata e li faccio notare a mio figlio. Persone che sudano il proprio pane. Uno di questi lavoranti stagionali, leggo stasera, in un’altra zona d’Italia, è morto dal caldo mentre cercava di portarsi a casa qualche decina di euro.
L’afa obnubila la mente. Che non assopisca le coscienze.
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