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L’ennesima strage di innocenti, in Bangladesh, ha turbato anche me, come tutti. Il fatto che metà delle venti vittime fossero italiane mi ha dato l’occasione, ancora di più, per riflettere su quanto successo, e, in particolare, in quanto credente.

Così mi considero, così mi dichiaro, così mi auguro di diventare.

E, nonostante molte letture, anche su siti internazionali, e notizie che meglio definiscono lo scenario in cui si è consumata l’orrenda e vigliacca tragedia (i terroristi tutti figli di papà, istruiti e ricchi, ad esempio, tanto per smentire l’idea del terrorista vittima della povertà), sono ancora tante le domande che mi sorgono nel cuore.

Su quello che sta accadendo, evitando semplificazioni o massificazioni, chi ancora insiste nel contrapporre le religioni, chi difende a tutti i costi l’Islam moderato (che francamente se c’è, tace e non si vede), e altri temi ben più vasti, come la distinzione, per me essenziale, fra evento di fede e sua manifestazione sociale e culturale. Riprendo in mano lo straordinario discorso fatto da Papa Benedetto a Ratisbona (https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg.html) in cui, alla fine, emerge la domanda più inquietante: L’Islam contiene in sé una radice di violenza? Il cristianesimo, pur con fatica e con lentezza, ha dovuto affrontare e risolvere la violenza insita nella Bibbia, e dargli un senso.

Ma ciò che stamani mi ha illuminato in questa cupa tenebra, è la storia di Faraaz Hossain, bengalese, musulmano, che era al tavolo con Tarishi Jain, indiana di 19 anni, e Abinta Kabir, entrambe studentesse del college americano Emory University. A Faraaz i terroristi avevano permesso di uscire dal locale insieme a un gruppo di donne che indossavano il velo. È stato lui a far notare che c’erano anche le sue amiche. Ma loro indossavano abiti occidentali e sarebbero morte. Allora è rimasto: erano sue amiche.

Non sappiamo cosa sia successo: li hanno trovati tutti e tre uccisi, uno accanto all’altro, le donne torturate.

Molti giornali, specialmente americani, hanno ripreso la storia e i social hanno rilanciato il suo gesto, definendolo un eroe. Ho pregato per lui, stamani, e per le vittime e per i terroristi. 

Quel gesto galante, inatteso, da amico vero che non lascia solo le sue compagne di università, un gesto che gli è costata la vita è l’unico barlume di speranza per dire ancora ai fanatici e a chi vede fanatici ovunque, che prima di ogni appartenenza religiosa od etnica ci sono le persone e le loro relazioni.

Ti rendo onore, Faraaz. Buona vita.

2 Comments

  • Anto, 5 Luglio 2016 @ 18:03 Reply

    Da credente so. .. che per loro sarà sicuramente Buona Vita. ..
    ma Paolo…
    non so se la morte di Faraaz può fare la differenza. ..
    Anche lui avrà una famiglia che lo piange. .. una mancanza dolorosa nel nome dell’amicizia vera, si,
    ma a che pro?
    Da mamma mi si stringe il cuore e vorrei un figlio meno coraggioso o incosciente… ma vivo.
    Il suo grande gesto fa sicuramente luce in tutto questo buio… e la speranza come la nostra preghiera non devono smettere di esserci.

  • Stefano, 9 Luglio 2016 @ 10:26 Reply

    Condivido. Faraaz ha dato la vita x chi amava. Gesù non ci chiede forse questo? Grazie anche per il richiamo al discorso di Ratisbona. È un gesto di onestà intellettuale riconoscere la profondità e la profezia di quell’intervento. Purtroppo c’è un politicamente corretto anche nella chiesa. Buon lavoro. Stefano.

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