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Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cédigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Lc 14,1.7-11

Che cosa difficile l’umiltà! Soprattutto in questi tempi in cui è l’arroganza a prevalere, i toni sopra le righe, gli eccessi… Soprattutto dopo secoli di esaltazione dell’umiltà come atteggiamento dimesso e depresso che tanti danni ha fatto alle coscienze poco equilibrate! La parola umiltà deriva dall’humus, che è la terra feconda e che porta in sé due significati: la concretezza e la fecondità. Siamo chiamati ad essere concreti, a conoscere i nostri limiti e le nostre qualità perché siano messi a disposizione delle persone che incontriamo. Non è umile chi dice di non valere a nulla, è un depresso. Umiltà significa riconoscere e valorizzare i propri doni, sapere che ci sono dati non per metterci in mostra, ma per donarli agli altri, per condividerli. Gesù ci chiede di non seguire le logiche mondane di chi deve sempre apparire (anche nella Chiesa, purtroppo!) fregiandosi di titoli o di cariche, ma di vivere nell’assoluta semplicità, attenti all’essenziale, al “dentro” molto più che al “fuori”, di non far caso alle logiche di potere del mondo perché siamo preziosi agli occhi di Dio anche se non veniamo riconosciuti dagli altri come forse meriteremmo.

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