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Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 11, 1-53

In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

Vieni fuori

Scrivo sempre con qualche settimana di anticipo, di solito la domenica sera.

Lo faccio all’inizio della mia nuova settimana. Guardo avanti, insomma, non so mai se riuscirò a tenere fede a questo piccolo servizio che procede da diciotto anni senza interruzioni e allora, prima di cena, mi siedo a digitare.

Solo che stasera non so come sarà la situazione fra tre settimane.

Cosa sarà del Coronavirus, dell’epidemia, delle paure.

Se, mentre leggete, la situazione sarà ulteriormente peggiorata o se, me lo auguro, il picco sarà passato.

Ma qualunque cosa sarà, sono certo che avrà a che fare con il vangelo di oggi.

Perché abbiamo urgente bisogno di uscire dai sepolcri.

E di toglierci le bende.

Perché siamo tutti Lazzaro. Pensiamo di essere vivi, ma siamo morti e sepolti sotto cumuli di pietre.

Chissà che la dura prova dell’epidemia, che ha messo a nudo le nostre piccinerie, le nostre paure, i nostri egoismi, la nostra poca fede, non sia la svolta per farci rinascere.

Chissà se avremo il coraggio di ascoltare quel grido che scuote.

Vieni fuori!

Il tuo amico

Gesù si è rifugiato ad Efraim.

Tira una bruttissima aria, per lui, a Gerusalemme. Giovanni struttura il suo vangelo come un gigantesco, infinito processo all’opera di Gesù e Gesù, lo sa, è già stato condannato a morte in contumacia.

Lazzaro, il suo amico Lazzaro, sta male, tanto.

Gesù sa che andare a Betania, a quel punto, equivale ad un vero suicidio.

Sa la morte di un amico, del suo migliore amico, sarà l’occasione di mostrare l’amore che ha per Lazzaro. E per le sue sorelle. E per noi.

Sa che questo amore lo spingerà a fare ciò che nessuno aveva anche solo immaginato si potesse fare: donare la vita per qualcun altro.

La vita di Lazzaro segna la morte di Gesù.

Aspetta qualche giorno e parte.

Tutto a Betania, la casa del povero, odora di morte.

La fine prematura di una persona giovane e stimata, ancora oggi, ci getta nel panico totale. Nonostante la fede, nonostante tutto.

È Marta ad uscire per prima. È lei che agisce in casa, lo sappiamo bene.

Le sue parole sono un rimprovero sgomento.

Se tu fossi stato qui.

No Marta, non è vero. Se anche Gesù fosse stato presente non avrebbe impedito a Lazzaro di morire.

Anche se Gesù è presente nella nostra vita, anche se siamo suoi amici, se egli ci è amico, non possiamo evitare la morte e il dolore e le prove che egli per primo non ha rifiutato. È normale, istintivo pensare che Gesù ci protegga, ci salvi. E lo fa, ma mai come pensavamo.

Mai come vorremmo.

La vita è mistero, assurdo costringerla nei nostri limitati ragionamenti, nelle nostre legittime ma puerili illusioni. Al discepolo la sofferenza non viene evitata. E la sofferenza e la morte sono passi di una percorso necessario, come il chicco di frumento che deve morire e marcire per portare frutto.

Gesù invita Marta, e noi, a credere. A credere in una resurrezione e in una vita che avvolgono e riempiono questa nostra vita biologica, terrena, che le danno misura e senso, orizzonte e gioia.

Si fida, Marta. Anche se stenta a capire, anche se non vede come tutto ciò possa accadere.

Sa, come sappiamo noi, che egli è l’acqua di sorgente, la luce. Ma c’è ancora un passo da affrontare.

Ti chiama

Il maestro è qui e ti chiama.

Così dice Marta a Maria. Così dice Marta a me, oggi.

Maria si alza e, con lei, tutti i famigliari e gli amici. Si ripete la scena, il dolce rimprovero.

Gesù sta per ribattere, come con la sorella. Ma vede le lacrime. Tante. Troppe.

E accade.

Accade l’impensabile.

Gesù scoppia a piangere.

Il Maestro cede.

Come se, per la prima volta, Dio si rendesse conto di quanto dolore possa vivere l’uomo. Di quanto possiamo smarrirci e perderci, deboli e sciocchi che siamo.

Come se Dio, per la prima volta, vedere quanto dolore ci procura il dolore, quanto smarrimento, quanto disorientamento.

Ci scuote, quel pianto.

Ma non poteva evitare che morisse, invece di piangere? Obiettano alcuni. Ed è l’eterna scelta fra il volto di un Dio garante del quieto vivere o di un Dio appassionato che condivide la nostra vita.

Non ci sono parole per spiegare o per consolare. Solo partecipazione, ora. Gesù chiede dov’è Lazzaro.

Vieni a vedere, gli dicono.

Tre anni prima, ai due discepoli del Battista che si erano messi sui suoi passi, aveva usato le stesse parole: venite e vedrete.

Gesù conduce i discepoli a vedere la vita.

I discepoli, ora, gli insegnano a vedere la morte.

E quel dolore, lascia intuire l’evangelista, lo smuove. Darà la sua vita per Lazzaro.

Lazzaro vivrà. Lui, il Signore, ne porterà le conseguenze e ne morirà.

Vieni fuori

Lazzaro, vieni fuori!

Sa bene che quel gesto segnerà la sua fine. Sa bene che alcuni si prenderanno la briga per andare a denunciarlo (per cosa, violazione del regolamento cimiteriale?). Sa bene che le parole non sono più sufficienti.

Ora che ha visto quanto dolore provoca la morte gli resta un ultimo passaggio per poter essere uomo in tutto. Morire.

È piena di gioia e di stupore questa resurrezione.

È pieno di mestizia il cuore del Maestro.

Sì, ora è pronto. Andrà fino in fondo.

Fino all’inimmaginabile.

Lazzaro, noi, io, siamo vivi perché Gesù ha donato la sua vita.

E ci invita, ancora e ancora, a vivere da vivi.

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