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Lettura del Vangelo secondo Giovanni
Gv 4, 46-54

In quel tempo. Il Signore Gesù andò di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive».
Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea. 

 
 

Gesù, un umanissimo Gesù, sale da Gerusalemme verso la Galilea. È scontento, teso, è stato accolto male dai suoi, nessun profeta è bene accetto in patria, lo sappiamo bene. 

E, invece, accade l’imprevisto: alcuni concittadini, trovatisi a Gerusalemme durante la festa, hanno visto ciò che Gesù ha fatto e – affascinati – hanno cambiato idea. 
Questi galilei tornano al Nord e convincono la gente che il carpentiere di Nazareth è diventato un profeta famoso che dà lustro al suo paese! 
Gesù rimane piacevolmente stupito dal cambio di opinione nei suoi confronti, ma ecco che, subito,  è messo alla prova da un funzionario che gli chiede un miracolo. Gesù obietta, tentenna: sa bene quanto siano ambigui i miracoli, è stufo di essere cercato per i suoi poteri di guarigione. Ma, al solito, Dio si fa corrompere e guarisce il figlio restituendo pace al padre disperato. Ancora una volta Gesù mette da parte i principi e prova compassione. 
ed esaudisce l’insistente preghiera del funzionario del re per il figlio malato. 
 
Abbiamo urgente bisogno che il Signore scenda nella nostra casa, che visiti le nostre povere vite. La morte spesso, troppo spesso, attanaglia la nostra quotidianità e il mondo in cui ci troviamo a vivere. Morte nei gesti, nelle parole, nei giudizi taglienti, negli eventi spesso negativi della nostra vita. Morte che fuggiamo e che, pure, ritroviamo dietro ogni angolo. Morte fisica, certo. Ma, soprattutto, morte interiore, distruzione e violenza. Gesù, libero, datore di vita, ci invita a non demordere, a non avere paura, a credere, a insistere. Per strada, cioè solo se seguiamo il percorso del discepolato, veniamo guariti, torniamo a vivere, ripercorriamo il sentiero che ci porta verso la comprensione della vita. 
 
E’ bello smentire il Signore, ogni tanto, è bello stupirlo, incoraggiarlo, dirgli che ha fatto bene a salvare l’umanità, dirgli che non si è sbagliato nella sua difficile missione di convertire il cuore dell’uomo. 
Dedichiamo la nostra giornata al Signore, diciamogli che il suo volto ci ha cambiato la vita, diciamoglielo, sosteniamo il nostro Dio che – come a Betania – cerca amici con cui confidarsi. Umanissimo Dio questo Dio che viene incoraggiato, umanissimo Dio questo Dio che crede nell’uomo e vede che può cambiare atteggiamento e convertirsi alla visione di un Dio che guarisce ogni dolore, ogni infermità, ogni disperazione. 
Siamo la gioia di Dio, ringraziamolo, oggi, per tutta la vita in abbondanza che egli ci ha donato!

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