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In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gv 6,52-59

Il discorso che fa Gesù è insostenibile: la folla, in fondo, cercava solo qualche rassicurazione, sperava di avere trovato una soluzione al quotidiano problema del cibo, sarebbe stata disposta anche a far incoronare Gesù re d’Israele (chi di noi non voterebbe un governo che ci regala il cibo e la casa?). E invece no, Gesù si è infilato in una feroce disputa sul senso della vita, sull’unico pane che vale la pena di mangiare, altro che. La folla è stordita, non capisce più; per accedere al Padre che vuole la salvezza per i suoi figli bisogna credere in Gesù. E sia. E questo, così dice il Nazareno, ci apre ad una nuova dimensione di vita eterna che inizia sin da ora. E sia. E per dimorare in Dio occorre nutrirsi del cibo che è la presenza stessa di Gesù. No, qui non ci si capisce più. Cosa chiede il Signore, di diventare tutti dei cannibali? Di nutrirsi della sua carne e del suo sangue? La folla ora tentenna e se ne va. Anche fra i suoi discepoli, conclude amaramente Giovanni, molti se ne vanno perché quelle parole sono incomprensibili. E Gesù li lascia andare, non mitiga il suo discorso. Vogliamo andarcene anche noi solo perché Gesù dice delle cose troppo dure?

Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

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