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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno». Mt 13,16-17

È l’unica parabola spiegata direttamente dal Signore. La spiegazione è chiara: il Padre semina la Parola, è sua l’iniziativa, lui desidera comunicare la sua Parola ad ogni uomo al punto che il seme cade sull’asfalto. Ma l’attenzione verte sul terreno: come accogliamo questa Parola? Con che atteggiamento? La descrizione del terreno ci rappresenta: gli ostacoli sono il Maligno che lotta affinché scordiamo la Parola (e ci riesce bene! Che vangelo c’era domenica scorsa?), le preoccupazioni del mondo che fanno in modo che la fede passi in secondo piano, la persecuzione che ci fa paura, la tribolazione e il dolore che mettono la sofferenza al centro della nostra ricerca… Ma il terreno può anche portare frutto, e tanto. Gli esperti ci dicono che, in Israele, un grande raccolto arriva a produrre il nove per uno di ciò che è stato seminato: Gesù moltiplica fino a dieci volte tanto tale proporzione. Se accogliamo la Parola, questa produce in noi immensamente più di quanto anche solo osiamo immaginare. Ma: chi può dire di essere terreno buono? Dal mio punto di vista chi si è identificato in uno dei terreni problematici, chi con umiltà sa che c’è ancora molto da fare…

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