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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!». 

 

Inutile nascondercelo: è esigente il vangelo, impegnativo, a volte insostenibile. Non perché qualcuno l’ha ridotto ad una specie di terribile manuale di rigorismo ascetico e morale, ma perché, se preso sul serio, ci obbliga alla verità e ci fa diventare santi, anche se non vorremmo. E quanto è larga, invece, la strada che porta a semplificare tutto, a sminuire, a banalizzare. Anche nella fede, anche nel discepolato, facendo diventare il cristianesimo una parodia del vangelo, una specie di blanda religione che ci assicura un posto in paradiso, se non proprio una vita indenne dai guai. E invece. Invece il vangelo è fuoco divorante, insostenibile attrazione divina, manifestazione della possibilità, per l’uomo, di incontrare Dio. Scegliere la porta stretta non significa mortificarsi, o negarsi i piaceri della vita, ma sapere per cosa vale la pena di vivere, in cosa investire, chi cercare. Se è così, è inutile perdere tempo con chi non vuole capire, con chi si ostina a non vedere, gettando la perla preziosa del vangelo fra le zampe dei maiali. Chi ha incontrato Cristo sa bene in chi ha riposto la propria fiducia, e non passa il tempo a farsi prendere in giro da chi si ostina a vivere una vita meno che mediocre.

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