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Terza domenica di Pasqua

Atti 3,13-15.17-19 /1Gv 2,1-5 / Lc 24,35-48

Contagio

 

Ci assomigliano, i due di Emmaus.

Nel loro incedere affaticato, scoraggiato. Nel loro sentirsi vittime di un destino cinico e baro. Nelle rimostranze che, in fondo, vorrebbero rivolgere a Dio e alla sua perenne distrazione. Non si vede quanto siamo tristi? E sfiniti e pieni di paure? Dalla minaccia di guerra che bussa alla porta delle nostre case? Dio non vede e non se ne cura?

Cammina accanto a noi, invece, il risorto, anche se non lo riconosciamo.

E chiede come stiamo, coma va. 

Non si vede abbastanza dalle nostre facce?

 

Vorrei assomigliare un po’, ai discepoli di Emmaus.

Il loro incontro col risorto è stato segnato da quella frase sconcertante: noi speravamo.

La speranza declinata al passato.

Poi lo scossone di quel forestiero che, no, non sapeva cosa era accaduto a Gerusalemme, anche se parlavano della sua morte. E che li aveva amabilmente presi in giro e catechizzati.

Poi, allo spezzare del pane, tutto era diventato evidente, appena prima che egli sparisse.

 

Parlano in fretta, ora, i due tardoni (brachicardici li ammonisce Gesù, lenti di cuore).

Si sovrappongono, esagitati, scossi dall’incontro col pellegrino.

Bevono le loro parole, i pavidi apostoli.

Ascoltano e confermano le tante notizie. Ora sono due maschi a parlarne, non le donne che, si sa, sono sempre emotivamente instabili.

E mentre parlano arriva.

Lui, il risorto. Il presente. Il Signore.

Quando raccontiamo agli altri la nostra esperienza di fede, quando l’incontro con Dio trasuda dalle nostre parole, Gesù si manifesta nel cuore di chi ci ascolta.

È così, la fede, un comunicare da bocca a orecchio. Da cuore a cuore.

Paura

Ma hanno paura. Troppa per credere. 

Paura che sia un’illusione, una finta, un trucco, un inganno. E i dubbi, pronti, sono lì a battere cassa, a fare l’elenco dell’improbabilità di quanto successo. I nostri dubbi.

Hanno paura di credere, di osare, i discepoli. 

È troppo bello per essere vero. Una pia illusione inventata da qualcuno come anestetico a questa vita immensamente crudele. Oppio dei popoli, droga per i poveri.

È un fantasma. Evanescente.

Un ricordo. Un’allucinazione. Un ectoplasma.

Così, troppo spesso, ancora oggi, proprio in questi tempi difficili, pensiamo che sia Gesù: un bravo tipo perso nei fumi sacri della Storia. Un fantasma, appunto.

 

Gesù, come con Tommaso, insiste, osa, scuote, obbliga, invita alla concretezza, ad alzare lo sguardo.

Guardate, toccate, vedete.

Ed è un po’ di pesce arrostito condiviso a convincerli.

Un gesto di assoluta concretezza.

Solo nei colori, nei suoni, negli odori, nei ricordi, possiamo riconoscere il Risorto.

È concreta la fede. Fatta di sudore e sangue.

Di alti e bassi. Di crisi e di rinascita.

Di dubbi abissali e di slanci. Non può essere diversamente. Non può che essere così la nostra vita, anche se credenti, proprio perché discepoli.

È così, la fede.

I doni

Ci riempie di doni, il Signore.

La pace, anzitutto. Quella che ci deriva dalla certezza di essere amati.

La pace che non è un’irrealistica utopia di un mondo che, invece di andare verso l’unità, sembra esplodere nell’odio e nella violenza.

La pace che sembra essere manifestazione di debolezza in una tensione mondiale che ha esacerbato i toni, ampliato le divisioni, manifestato le furberie e gli inganni, portato alla luce la tenebra che ci abita.

Il cristiano è pacifista perché pacificato, perché, in Cristo risorto, sa che nessuna croce è definitiva.

La pace, che non esclude momenti di sconforto, di dubbio, di rabbia, è un dono che va accolto e conquistato. Il primo dono ai credenti.

Dimorare nella pace significa mettere Cristo al centro, prenderlo come punto di riferimento definitivo e vincolante. Costruire un metro quadro di pace attorno a me, nei pensieri, nelle parole, nei gesti.

Amare. Vivere da risorti.

La resurrezione non è qualcosa che ci capiterà un giorno, se facciamo i bravi. 

Ma la condizione in cui siamo posti da ora, se credenti.

Una mente spalancata

Per poter vivere da persone riconciliate col mondo e con gli altri, con noi stessi e col nostro passato, siamo chiamati a interpretare e leggere la nostra vita alla luce della resurrezione.

Difficile, ovvio.

Mi consola il fatto che gli apostoli, prima di noi, abbiano dubitato, come me.

Eppure quella è la strada, l’unica percorribile, l’unica vera.

Il mondo da sempre è divorato dalla violenza e dall’egoismo e l’uomo, nonostante le periodiche e illusorie prospettive che vedono in esso una bontà naturale nei fatti indimostrabile, è segnato dall’ombra del peccato e della morte.

Eppure siamo salvati e redenti.

Risorti con Cristo, cerchiamo le cose di lassù, dove è seduto il Cristo.

Lo Spirito, dono del risorto, ci permette, attraverso la meditazione della Scrittura, di leggere la nostra vita ad un livello più profondo e autentico.

Ed è quello che stiamo facendo qui, ora.

 

Solo alla luce del risorto possiamo gettare leggere la Storia dalla prospettiva di Dio.

Una gran bella prospettiva.

Alziamo lo sguardo, ancora. Non siamo soli.

Siamo amati. Scegliamo di amare.

Foto: www.edizionilipa.com

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