I terroristi che si lanciano, nuovamente, addosso a persone inermi, falcidiando i turisti sulla Rambla di Barcellona. Il crollo di alcune case ad Ischia, il salvataggio del bambini, il “Mi vuoi bene?” di uno dei bambini sotto le macerie al vigile del fuoco, la polemica delle case abusive condonate, tipico vizio italiota. La foto dei profughi in piscina, la polemica rovente, le minacce al prete pistoiese con promessa di venire a “controllare la sua dottrina cattolica” da parte di Forza Nuova (!). Lo sgombero a Roma, la polemica dei palazzi occupati, i migranti.
Fiumi di parole. Commenti (allibito dalla violenza sul profilo di don Massimo, ma davvero allibito), insulti, minacce, giudizi taglienti. Il mondo sembra essere invaso da un fiume di parole. Anzi, di parolacce. Di odio che cresce con le parole.
E le parole non sono innocue.
Le parole non sono neutrali.
Le parole realizzano ciò che dicono e in un mondo in cui prevalgono urla e minacce, stereotipi e provocazioni, alla fine rompono gli argini della violenza e intossicano l’anima.
Stacco la mente e recito con il Salmo 142:
“Poni, Signore, una guardia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra”.
Questi sono alcuni miei pensieri mentre, sprofondato nel denso silenzio dei duemila metri, accarezzato dal vento e dall’acqua che sgorga dai ghiacciai delle Grandes Jorasses. Senza il silenzio, senza l’ascolto, senza darci del tempo per la verità in noi, precipitiamo.
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